Inclusione : un progetto per il Delfino

PRESENTAZIONE N° 96

Con la partecipazione di Marco Belpoliti – Cinzia Benigni – Convitto Baroni – Guendalina Bonassoli – Marco Bono  –  Maura Cantamessa – Alberto Castoldi – Adele Ceribelli – Arialdo Ceribelli – Mario Cresci – Giovanni De Ciantis – Enrico De Pascale – Simone Facchinetti –  Elio Grazioli – Adeline Goyet – Caroline Keppi – La Cameranera – †Pierre Laurent – Adelio Leoni & Roger Rota – Fiorella Maffeis – Manuela Manzini – Liebl Manzoni – Jovica Momcilovic – Cis Montessori – Federica Mutti – Luciano Passoni – Elisa Pievani – Jean-Claude Planchet – Paolo Plebani –  Rosa Pozzan – Giuliana  Prucca – Cristina Rodeschini – Daniele Rossi –  Luca Santiago Mora – Pierfranco Scarpellini – Frédéric Schaffar – Angelo Signorelli – Lucina Spirito – Roberta Spreafico – Arrigo Valentini – Mauro Zanchi – Andrea Zucchinali

La mostra di Manuela Manzini Inclusione – un progetto per il Delfino, consta di due parti:

la prima, presso la libreria Ars, è la presentazione de la fabrique de la culture, un progetto d’artista nato e sviluppato a Parigi da Manuela Manzini e dai suoi collaboratori che si vuole participativo e interattivo, il suo materiale di base é la cultura;

la seconda, appositamente concepita per l’occasione, comprende l’organizzazione di un percorso artistico-culturale che si sviluppa nelle strade del Borgo Pignolo attraverso sguardi, letture, opere realizzati dalle persone che sono state invitate a collaborare.

Tali lavori, compressi in un QR code, sono disseminati nei luoghi prescelti dagli autori, in attesa di essere decodificati dai visitatori tramite i propri telefoni cellulari. Una mostra dunque singolare, interattiva, fatta di luoghi, scoperte, condivisioni culturali.

Manuela Manzini e Libreria Ars hanno tracciato in modo arbitrario i confini di un territorio che, un po’ abusivamente, hanno chiamato: «il Nostro Borgo Pignolo».

In questo triangolo, con i vertici nella chiesa di San Michele al Pozzo Bianco, in quella di Santo Spirito e in Piazza Carrara, hanno segnalato una serie di Luoghi, che non hanno la pretesa di essere i più importanti e significativi; alcuni di essi sono importanti per la storia, la cultura, l’architettura o l’urbanistica del Borgo e di Bergamo; altri lo sono in quanto luoghi d’affezione, perché parlano di persone che silenziosamente e con dignità portano avanti passioni e lavori.

Su questi Luoghi/Persone Manuela Manzini e Libreria Ars hanno chiesto ad altre persone, che avessero le caratteristiche per apprezzarli, di esprimere, con i propri strumenti, momenti di lettura che si sono rivelati essere forme di affinità e di riconoscenza.

Tre Musei, cinque delle più belle chiese di Bergamo, un buon numero dei più bei palazzi storici, una delle più belle fontane, l’Università, l’Accademia di Belle Arti, alcuni studi di artisti, gallerie d’arte antica, moderna e contemporanea, librerie, fanno del Borgo Pignolo uno dei posti più suggestivi della città.

Fortunatamente la speculazione immobiliare non si è pesantemente abbattuta sul tessuto abitativo, e le nuove frequentazioni o i nuovi abitanti, che hanno sostituito i ceti popolari degli scorsi decenni, si sono in qualche modo integrati alle caratteristiche di riservatezza del Borgo.

Questi luoghi e le letture fatte da chi li abita o quotidianamente li frequenta sono stati «offerti» a chi abbia ancora il piacere di passeggiare e guardare. Un contributo alla scoperta dello Spirito del Luogo.

 

+l.

Luciano Passoni

 

Bergamo, 15 aprile 2015

Produzione e coordinamento: Jacopo De Pascale

IDYouTube Via Pignolo, 43 : Mario Cresci & Massimo De Pascale / Giacomo Beltrami, esploratore

  indian objects collectes by Beltrami in 1823

http://youtu.be/zsGMAtsED_0

      

 

 

ID2 Via Pignolo, 73 : Elisa Pievani / Maria Montessori

Nel 1961, Mario M. Montessori figlio di Maria, in via Pignolo,73  istituisce il CISM di Bergamo (Centro Internazionale Studi Montessoriani) che da allora organizza corsi annuali di formazione per insegnanti sul metodo montessoriano. Questo piccolo centro che fissa a circa 20 il numero massimo di studenti per ogni corso nel suo essere piccolo e poco conosciuto a Bergamo ma incredibilmente internazionale sembra rispecchiare al contempo la forza e la diffusione delle idee montessoriane e quanto ancora il suo pensiero sia da scoprire. I corsi tenuti esclusivamente in inglese attirano studenti da tutto il mondo.

Maria Montessori nata nel 1870 a Chiaravalle teneva particolarmente alla diffusione dei suoi metodi che considerava validi per ogni bambino indipendentemente dalla provenienza, Montessori inizia il suo lavoro con i bambini frenastenici e in seguito a partire dal 1907 grazie all’esperienza delle Case dei bambini allarga i suoi orizzonti all’infanzia in generale. Tra le prime donne laureate in medicina, attiva femminista, per tutta la vita viaggia e si confronta con realtà diverse. Ne è un esempio il suo lavoro in India, in cui resta per quasi dieci anni dove sviluppa alcuni degli aspetti della sua ricerca ancora oggi poco conosciuti come  il suo studio sul neonato. Questa apertura a lavorare ovunque e a considerare ogni bambino pari è un elemento fondamentale se si pensa che sono gli anni della seconda Guerra Mondiale in cui la razza e la diversità sono i principi che sembrano imporsi su ogni altro, sarà questa una delle divergenze che porterà la Montessori a rompere i propri rapporti con Mussolini che invece per i primi anni del suo regime l’aveva appoggiata condividendo la sua sfida all’analfabetismo.

La figura di Montessori colpisce, anche i non specialisti, sia per l’attualità e la validità delle sue idee che la forza della sua biografia.  Accanto all’intensa attività professionale Maria nasconde a lungo il proprio figlio Mario nato dalla relazione con Giuseppe Montesano di cui ancora oggi si sa poco. Stupisce che Mario affidato ad una balia non cresca con la madre, tuttavia da quando compie quindici anni ne diviene un compagno costante e fondamentale.

Maria Montessori procede attraverso l’osservazione e la sua ricerca tende alla «liberazione dell’infanzia e alle sue infinite possibilità». L’educazione non è un semplice problema tecnico, ma si tratta di valorizzare il bambino in quanto «padre dell’uomo», «messia» per la costruzione di un mondo migliore. In questa nuova concezione risiede il punto di partenza del metodo Montessoriano e l’elemento rivoluzionario per l’epoca. Il bambino dotato di potenziale e peculiarità per essere educato non deve essere oppresso e costretto in un mondo per adulti, ma deve essere liberato dandogli la possibilità di esprimersi a partire dalla creazione di uno spazio a lui accessibile e adatto, cosi, ad esempio, nelle case dei bambini si sperimenta l’utilizzo di un mobilio a misura di bambino, si lascia libertà nello svolgere le attività e si stimola la concentrazione e l’apprendimento con risultati sorprendenti. Da questi presupposti e attraverso l’osservazione Maria Montessori per tutta la sua vita si dedicherà alla ricerca, le sue idee ancora oggi sono in parte da approfondire e scoprire e in parte rappresentano un fondamentale capitale culturale.

Elisa Pievani

      

ID3 Via Pignolo, 73 : Maura Cantamessa / Gianandrea Gavazzeni

 

Diario 1968

30 aprile ’68.

     Sulla frequente improprietà del riferimento alla musica nell’intendere poesia, soccorre con chiarezza Edmund Wilson nel Castello di Axel, nel capitolo I simbolisti. Ecco: « I simbolisti stessi, posseduti dal miraggio di raggiungere con la poesia effetti simili a quelli della musica, erano inclini ad attribuire alle loro immagini un valore astratto come quello delle note e degli accordi musicali. Ma le parole del nostro linguaggio non sono notazioni musicali, e i simboli del simbolismo erano, in realtà, metafore distaccate dal loro oggetto – poiché al di là di un certo limite, non è possibile, in poesia, gustare i suoini e i colori semplicemente per se stessi: è neces-sario intuire a quale oggetto le immagini si riferiscono … »

     Di qui diventa gratuito e illusorio tutto il riferimento alla musica, sprecato con tanta arbitrarietà dalla critica moderna sulla poesia, dal simbolismo a oggi. Si è visto il caso di Saba. Che non rimane certo isolato.

     Ora (in « Paragone », 216) Guido Fink segna forti limiti a Edmund Wilson. E assegna Il castello di Axel a una certa facilità giovanile. Me ne resta però intatta l’utilità per quanto mi precisa intorno a musica e poesia.

     Mi domando per quale ragione entri il nome di bergamo in un capitolo di Yves Bonnefoy, L’humour, les ombres portées, nel volume Un rêve fait à Mantoue. Dopo aver divagato su Piero, De Chirico, il neoclassico : « J’imagine un cabinet d’architecte, à Bergame peut-être en 1870 ». Di lí, inseguendo un’idea neoclassica, nel giro di una pagina e mezza, per passare a Cimarosa, a Nerval, all’Hyperion di Hölderlin, tornando a Piero, e concludendo con un “moment Presque absolu dans le Don Juan de Mozart, lorsque les masques s’avancent sur le seuil obscure de la fête : O belle maschere, cosa chiedete ?... »

     Ma la citazione, al solito uso francese (!), è sbagliata : Leporello : « Zi, Zi ! Signore maschere ! » E Don Ottavio : « Cosa chiedete ? »

     Ma il « cabinet d’architecte à Bergame » di dove esce ? Soltanto io posso agganciarmi, con tratto immediato, al ritratto dell’architetto settecentesco conte Mosconi, antenato di mia nonna, nel palazzo in Pignolo : nell’ombra di un salone, tinto di verde scuro dai lauri del giardino. Ma Yves Bonnefoy ?

     Allestendo l’opera buffa napoletana gioverebbe ricordare Gaspare Traversi. Per lostile geografico e per il gioco commediante, e i costume…

Gianandrea Gavazzeni, Il Sipario rosso, Diario 1950-1976, pag. 697 - Einaudi, 1992

 

 

ID4 Via Pignolo, 99 : Manuela Manzini / Marco Bono, restauratore

Il mobile antico, una nave immobile ?

Cosa sono tutte queste navi immobili che galleggiano nei nostri appartamenti a filo del marmo o del parquet ?

Navi che scivolano sull’onda dell’encausto dal salotto alla biblioteca… dalla camera da letto allo studio

Navi arenate sui bordi del tempo, memorie trasportate da Ades di famiglia in famiglia, di secolo in secolo …

Porta, cassetto, piede, chiave… elementi di un linguaggio della navigazione immobile

Specchi, riflessi, dorures tutto l'apparato intimo della navigazione d'alto bordo

Navi fragili, oggetto di passioni, di collezzioni, ci vogliono mani speciali per accudirle, ripararle, mantenerle … mobili, per il piacere d'ognuno

Un piacere che le mette à l'abri del fuoco, della distruzione... quante navi affondate... quanti gesti perduti nella tempesta della vita

E quando se ne puo salvare una di queste navi, bisogna andare da Bono che di Marco ha la Serenissima e di Ades « chi muore tace, chi vive si dà pace ».

 

Con affetto, Manuela

 

Mobili come navi, Cristina Mazzoleni, 2015

  

Meubles dans la vallée / Mobili nella valle, 1927, Giorgio De Chirico, rovereto MART, 

foto : Emanuele Tonoli

ID5 Via Pignolo,112 : Elio Grazioli / Giovanni De Ciantis

A noi che ci occupiamo di arte contemporanea capita di essere facile preda di inversioni significative. Come quei turisti che si mettono nella posizione delle statue, ci capita di vedere certe scene attraverso il filtro di opere di artisti contemporanei. Così, passando, come faccio quasi quotidianamente davanti all’antro di lavoro del signor De Ciantis, spiando inevitabilmente dal portone aperto, la mente mi ha sempre rimandato al Merzbau di Kurt Schwitters, l’incredibile opera-ambiente in cui l’artista, dadaista sui generis, trasformò il suo stesso atelier nella seconda metà degli anni venti. Poi però mi sono sempre anche chiesto: chissà se Schwitters si è ispirato a situazioni del genere per la sua opera?

La domanda, mi si scusi quello che può sembrare un giochetto, si associa in me al fatto che la via Pignolo è in notevole pendenza e allora ho sempre pensato che la risposta sia: dipende se la fai in discesa o in salita, all’insù o all’ingiù. La metafora è fin troppo ambiziosa – dipende da che parte prendi la storia, da che parte prendi il rapporto tra i due termini – ma l’inghippo mi sembra significativo.

Per molti aspetti questo posto sembra un luogo rimasto come da altri tempi, una scheggia del passato, un’incongruità, un anacronismo, cioè propriamente la presenza in questo di un altro tempo. Viene allora in mente l’altro rinvio iconografico scontato, quegli angoli di Parigi fotografati da Eugène Atget che appaiono il culmine del realismo fotografico ma che i surrealisti seppero invece guardare in tutt’altro modo. Anche qui: non lo straordinario, non l’eccentrico, ma il fantastico che risiede dentro l’ordinario stesso, quello che non sai se è attributo della cosa o se è il nostro sguardo ad attribuirle.

Quest’ultima idea mi sembra la vera risposta alla prima domanda, o la sua correzione: più che un’inversione, la questione iniziale va presa come una sfida e la capacità dello sguardo di vedere diversamente è la sua posta in gioco.

Infine, un’altra, più concreta, domanda: chissà cosa pensa il signor … di questo tipo che passando davanti al suo portone si pone domande simili? Non sarò io, per caso, l’anacronista dei due?

Elio Grazioli

 

  Kurt Schwitter     

Giovanni De Ciantis

Eugène Atget

 

 

 

 

 

 

 

 

ID6 Via Pignolo, 116 : Luciano Passoni / ARS

                                                            

Luogo: ARS arte+libri, via Pignolo 116, Bergamo – tel. 035/247293

Periodo: 17 aprile – 9 maggio 2015

Orario: martedì mercoledì giovedì 14.00 - 19.00  / venerdì e sabato: 10.00 – 13.00 ** 15.00 – 19.00

 

 

 

 

ID7 Via Pignolo, 123 : Elisa Pievani / Convitto Baroni

Il convitto Baroni

      

« Il Banchieri fu messo nello sgabuzzino dove io avevo trascorso le prime notti : sin dal primo momento i tedeschi lo trattarono in modo brusco, per non dire brutale ; il giorno dopo fu interrogato e battuto atrocemente a più riprese. Per due volte sentii io stesso i colpi delle frustate che gli venivano date sul pianerottolo » (Gambirasio, Due mesi in carcere, pp. 46-47)

Oggi, questa lapide è l’unico segno che ci ricorda che l’ex Collegio Baroni tra il 1943 e il 1945 fu teatro di atroci violenze e torture. Il collegio, fondato su iniziativa di Angelo Baroni nel 1893, nel ’43 viene requisito dalle forze naziste che lo trasformarono in carcere destinato a indagati di reati di competenza del Tribunale militare tedesco.

In quegli anni l’incalzare degli eventi: la destituzione di Mussolini, l’armistizio, l’occupazione tedesca, la guerra e la Liberazione, cambiarono velocemente  il volto della città come del resto dell’Italia intera.

Il 25 luglio a Bergamo la notizia della destituzione di Mussolini viene resa pubblica con il radiomessaggio delle 22.45 e il notiziario delle 23:30 Radio Londra conferma l’arresto del Duce e il conferimento dell’incarico a Badoglio. La folla si riversa per le vie della città, cantando e inneggiando alla libertà. La speranza della fine della guerra e il desiderio di cambiamento che seguono ridisegnano anche il tessuto urbano e i luoghi dell’amministrazione. Tutto cambia nuovamente quando il 10 settembre alle ore 16 i tedeschi entrano in città, le truppe, senza incontrare reali resistenze occupano le caserme, il Distretto militare, la Prefettura, e nei giorni seguenti molti altri luoghi affermando il proprio controllo. Da questo momento fino al 25 aprile 1945 si delineano i contorni della guerra che ha portato il nostro paese alla Liberazione. La Resistenza ha seguito un percorso travagliato e complicato, si è trattato di inventare le forme con cui opporsi al nazifascismo e soprattutto trovare la determinazione e la fantasia per pensare a un futuro diverso. La violenza per i nazifascisti ha rappresentato fin da subito uno strumento di repressione con cui combattere atrocemente ogni tentativo di cambiamento. L’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza conserva svariati materiali su l’ex Collegio Baroni, testimonianze orali di ciò che avveniva in queste stanze, testimonianze scritte ma anche documenti dell’epoca a cui si rimanda per un approfondimento delle vicende.  

Elisa Pievani

 

ID8 Via Pignolo, 91/b : Liebl Manzoni / enPassante

 

Mio figlio ha fatto il militare con il marito della Roberta, così, io e Lei ci siamo conosciute. Quando poi ha aperto il suo negozio, atelier, qui in Pignolo, sono rimasta molto stupita per come fosse bello e per il coraggio che Roberta dimostrava; non è mai stato facile e tantomeno lo è oggi  aprire un'attività che guardi alla moda, al design e all'arte con uno sguardo personale e rappresentativo di un mondo così trasversale.

Per Lei il design cos'è?

é sicuramente una forma d'arte, necessita però assolutamente di praticità e funzionalità.

Io conobbi mio marito allo Ulm in Germania, Lui portava la fantasia, l'estro tipico degli italiani e la scuola gli fornì sistematicità  e quell'ossessione per il raggiungimento di un obiettivo che deve essere per sua natura realizzabile.  Il modo in cui lui riuscì a mettere in pratica la lezione dello Ulm e la sua immensa fantasia riuscirono a far sì che diventasse successivamente uno dei riferimenti del design non solo italiano. E io di questo vado molo fiera!

Consigli ad un giovane design?

Essere pratici, pensare che quello che si pensa sulla carta debba avere una forma fisica e materiale è la cosa più difficile con cui un giovane design deve misurarsi. Paradossalmente l'aumento di mezzi tecnologici e di materiali utilizzabili non fa che dar maggior confusione a chi inizia questa professione. Si innamorano di un materiale  ancor prima di avere un disegno che per quel materiale sia adeguato, scelgono una forma a scapito delle "pieghe" fisiche che un materiale possa acquisire... 

Sono contenta di sapere che ci sono persone che hanno ancora voglia di prendere rischi... con la consapevolezza di participare a un progetto comune che ci permettera di vivere meglio, sono per una ecologia del pensiero.

Liebl Manzoni 

 

 

 City taxi, Pio Manzù, 1968

ID9 Via Pignolo, 98/a : Marco Belpoliti / Bar Perry

Tramezzino

Mangiare in casa oggi non implica più cucinare per sé. Si stanno diffondendo nuove mode alimentari di preparazione e di consumo del cibo. Si va dalla più semplice, il tramezzino a domicilio (a casa, ma anche in ufficio), per spuntini con amici o colleghi, merende pomeridiane dei figli e dei loro compagni, sino alla più complessa, che consiste nell’affittare un cuoco per una sera. E c’è anche la soluzione intermedia per cene in piedi: catering. www.tramezzino.it offre a Milano e Torino un servizio vario di pane a cassetta farcito e tagliato a metà in diagonale. La parola “tramezzino” si è diffusa in Italia negli anni Trenta, alternativa autarchica all’inglese sandwich, termine derivato da John Montague conte di Sandwich, che usava questo tipo di cibo confezionato dal proprio cuoco personale allo scopo di non lasciare il tavolo da gioco neppure per nutrirsi. Tramezzino.it lo si contatta su Internet; si fa l’ordine seguendo una lista divisa per colori (rossi, carne; blu, mare; verdi, vegetariano; bianchi, leggeri e senza maionese), tutti offerti al prezzo di 3,20 euro l’uno. Arrivano dentro una scatola di cartone, chiusa con lo spago, come se fosse un pacchetto giapponese. Al catering si ricorre invece quando il numero degli ospiti supera i dieci o quindici, e i padroni di casa non possono o non vogliono cucinare per così tante persone. Catering deriva dal verbo inglese to cater, “provvedere, organizzare”. Il termine si è diffuso in Italia a partire dai primi anni Settanta; all’inizio questo servizio era utilizzato da collegi, alberghi, ospedali, oppure treni e aerei. Catering è il cibo preparato altrove che viene riscaldato nel luogo in cui si consuma. Tra le società di catering circola una leggenda circa l’origine della parola: da Caterina, la cuoca che cucinava per Napoleone durante le battaglie. Falso, ma vero. In effetti, c’è qualcosa di militare nel catering: rientra nella logistica, la scienza dell’organizzazione inventata da un generale svizzero nell’Ottocento, Antoine-Henri de Jomini. Avere un cuoco personale è un sogno che coltivano in molti, ma, come si sa, è un lusso per pochi. Per questo si ricorre al cuoco-in-affitto per una sera soltanto. Viene a domicilio, e cucina su richiesta. A Milano, ma anche a Roma, è un mestiere che si va diffondendo, così si può scegliere tra un cuoco italiano specializzato in pesce e una cuoca persiana, uno chef vegetariano e una coppia di cuciniere specializzate in menu regionali. All’inizio degli anni Ottanta Piero Camporesi, storico dell’alimentazione e scrittore, denunciava i miti dietetici elaborati in parallelo alla diffusione della fabbrica nel secondo dopoguerra. Si scagliava contro l’“anonimato seriale del self-service”, modello nato dentro la fabbrica stessa. Nel mondo postfordista, in cui viviamo, anche la preparazione dei cibi si evolve secondo le regole della delocalizzazione e del decentramento: dal desco di casa alla mensa della fabbrica, dalla mensa al ristorante e dal ristorante di nuovo in casa. La globalizzazione a domicilio.

 

Marco Belpoliti

 

Il tramezzino del dinosauro

100 oggetti, comportamenti e manie della vita quotidiana

piccola biblioteca guanda, 2008

 

ID10 Via San Tomaso, 7 : Mauro Zanchi / San Lupo

SAN LUPO

Certe volte lo studio conduce informazioni, idee, collegamenti inaspettati, e, nei migliori dei casi, rivelazioni. Nel periodo in cui stavo studiando il magnetismo animale e il fluido universale di Franz Anton Mesmer, camminando in via san Tomaso, vidi la porta di San Lupo aperta. Mi sembrava un tacito invito.  L’Oratorio di San Lupo era appena stato restaurato. Non era ancora iniziata la stagione delle mostre di arte contemporanea in quello spazio. Istintivamente scesi nella parte ipogea. Avevo letto che l’Oratorio settecentesco svolse la funzione di cimitero e ossario della vicina chiesa parrocchiale di Sant’Alessandro della Croce, e che era utilizzata fino all’inizio dell’Ottocento dalla Giovanile confraternita della morte. La suggestione mi aveva mosso sensazioni. Pensavo: “Rimane traccia del fluido universale nei luoghi che hanno accolto, come in un grembo, molti corpi di coloro che vissero?”. Non mi interessava tanto il magnetismo animale di una singola persona, ma la possibilità che vi fosse una sorta di fluido universale collettivo, rimasto attaccato al suolo e alle pareti del luogo cimiteriale. Soprattutto immaginavo come si potesse formare e trasformare il cosiddetto “spirito del luogo”. Seguendo la suggestione di quelle domande aperte, cominciai a salire le due rampe di scale che conducono ai matronei percorribili. Salii, ruminando immagini viste in passato sui libri o nei viaggi, i vari livelli fino alla balconata del secondo piano, dove si ha la visione complessiva dell’interno. Guardando sul soffitto della balconata, mi accorsi che c’erano simboli massonici. Il triangolo raggiante contenente l’occhio mi fece ricordare che Mesmer, a Vienna, all’età di circa trent’anni, era stato iniziato agli alti gradi della massoneria. E la struttura architettonica dell’Oratorio e le balconate rimandano a qualcosa di teatrale o a una loggia per iniziazioni. Soprattutto il luogo cimiteriale e teatrale era perfetto per insegnare ai neofiti il rapporto sottile tra la vita e la morte, il flusso che le permea e collega, nel rapporto col tempo e con l’idea di infinito, tra la fine e la possibilità di un afflato eterno.

Tornato a casa, sorrisi nel vedere la data 1734 sui due libri che erano rimasti aperti nello studio[1].

 

Mauro Zanchi

 

[1] Mesmer è nato nell’anno in cui è stato costruito l’oratorio. Un anno dopo appresi che Andrea Fantoni, il più teatrale scultore barocco bergamasco, è morto il 25 luglio del 1734.

ID11 Via San Tomaso, 39 : Andrea Zucchinali / Les Galeries du Luxembourg

Mesdames, Messieurs... ceci représente un coin, dans un parc, le soir... Le soir est doux, silencieux, tout embaumé de parfums errants... Sur le ciel, moiré de lune, les feuillages se découpent comme de la dentelle noire, sur une soie mauve... Entre des masses d’ombre, entre des molles et étranges silhouettes, voilées de brumes argentées, au loin, dans le vague, brille une nappe de lumière... bassin, lac... on ne sait... ce qu’il vous plaira... Heure vaporeuse et divine !... L’amour est partout... son mystère circule au long des avenues invisibles, sous les fourrés, dans les clairières...et son souffle agite les branches à peine... C’est délicieux !... (Montrant le banc — avec attendrissement) Et voici un banc, un vieux banc, pas trop moussu, pas trop verdi... un très vieux banc de pierre, large et lisse comme une table d’autel... un autel où se célèbreraient les messes de l’amour... (Il déclame.)

Signore, signori... quella rappresenta un cantuccio, in un parco, la sera... La sera è dolce, silenziosa, imbalsamata dai profumi erranti... Sul cielo, marezzato di luna, i fogliami si stagliano come un pizzo nero sopra una seta violacea... Fra masse d'ombra, fra molli e strani profili velati di brume argentee, in lontananza brilla una tovaglia di luce... bacino, lago... non si sa... come vi piacerà... Ora vaporosa e divina... L'amore è ovunque... il suo mistero circola lungo i viali invisibili, sotto i nascondigli, nelle radure... e il suo soffio agita i rami, appena... È delizioso!... (Mostrando il sedile, con tenerezza) Ed ecco un sedile, un vecchio sedile, non troppo muscoso, non troppo verde... un vecchissimo sedile di pietra, largo, liscio come un tavolo d'altare... un altare ove si celebrano le messe dell'amore... (Declama.)

[Octave Mirbeau, Les Amants, Scène Première.]

 

Passeggiando per la vecchia via San Tomaso, tra negozi dal sapore antico, il Caffè degli Artisti e l’Accademia delle Belle Arti, lo sguardo del passante attento non può evitare di essere attirato  dalla vetrina delle Galeries du Luxembourg, piccolo gioiello incastonato nel cuore del Borgo storico.

Dietro la vetrina, giochi impressionisti di luce e colore richiamano l’osservatore invitandolo ad affacciarsi ad immaginarie finestre aperte su giardini verdeggianti, romantici chiari di luna, specchi d’acqua tremolanti di luce e domestiche scene di vita quotidiana, appartenenti a un altro tempo.

Opere da Parigi e da Bruxelles, da Anversa e da Milano, ciò che accoglie il visitatore è il ricercato incrocio di esperienze artistiche sviluppatesi in tutta Europa a cavallo tra 800 e 900, e accomunate da un sapore fin de siècle che rispecchia la passione e il gusto della fondatrice delle Galeries. Cresciuta tra l’Italia e il Lussemburgo, in costante contatto con i grandi centri europei della cultura, la fondatrice e proprietaria ha saputo trasferire nella sua attività una passione antica, ereditata dal padre: una passione, dice, “capace di far sentire quel brivido che si sprigiona da un oggetto d’arte che nel suo vissuto ha in sé un bagaglio di emozioni”.

L’amore per l’arte e la bellezza si declina qui nella predilezione per un’estetica femminile, fil rouge che lega molte delle opere esposte: procedendo all’interno dello spazio espositivo, sotto un suggestivo antico soffitto a volta in mattoni, un percorso visuale dedicato alle declinazioni della rappresentazione del corpo femminile, dal Rinascimento alla modernità, dialoga a distanza con le donne dipinte da Palma il Vecchio, straordinarie ospiti della Galleria di Arte Moderna a pochi passi dalle Galeries du Luxembourg.

Andrea Zucchinali

ID12 Via San Tommaso, 86 : Adele Ceribelli / Galleria Ceribelli

Bergamo, 15 aprile 2015

Alla domanda come tuo padre ti ha trasmesso la passione per la cultura e per l’arte non ho saputo subito rispondere. Ho provato a pensare e capire come sia andata e sono tornata di qualche anno indietro nel tempo.

Libri, sculture, quadri, stampe, fotografie mi hanno sempre circondata. Ti abitui ad averli intorno e a vedere la mente di tuo padre distratta da loro.

È così che mi ha tramandato la passione per l’arte, semplicemente vivendoci dentro.

Inizialmente sembrano solo una parte dell’arredamento di casa, quasi non ci fai caso, fanno da sfondo ai vari momenti della vita; poi cominci ad apprezzarli e capirne il valore.

Rimasi stupita quando al liceo vidi, durante una gita in un museo, una stampa di Piranesi di cui avevamo un esemplare. È buffo pensare come la sola presenza di quell’opera all’interno di un museo la elevasse ai miei occhi, prima di allora, anche se la vedevo tutti i giorni, non l’avevo mai considerata così importante. Mio padre mi aveva spiegato molte volte quanto fosse importante e dotato questo artista, ma forse proprio per il fatto che lo diceva mio padre non l’avevo mai considerato.

Ed ora mi ritrovo a lavorare con lui, come è potuto accadere?

Lui non è uno che insegna, che spiega, la sua tecnica è “seguimi e sii curiosa”.

Più che di un insegnamento si può parlare di un continuo coinvolgimento, ammetto non sempre semplice e spontaneo, ed un vivere insieme le esperienze, imparando così a conoscere meglio il panorama artistico che mi circonda, sviluppando un senso critico personale.

A quanto pare ha funzionato è riuscito senza tante parole a farmi affezionare al suo mestiere e a trasmettermi interesse e curiosità.

 

Adele Ceribelli

ID13 Via San Tomaso, 13/c : Enrico De Pascale / Vittore Soranzo, vescovo

 

Certificato medico con cui Vittore Soranzo, vescovo di Bergamo, momentaneamente residente a Venezia, motiva all’autorità pontificia l’impossibilità a trasferirsi a Roma per presenziare al processo in cui è imputato con l’accusa di eresia[1].

Deposizione medica su Vittore Soranzo. 12 settembre 1557

AS Ven., Santo Ufficio, b. 160, cc. n. n.

Il reverendissimo vescovo di Bergamo, entrato già nei LVII anni, al presente si trova gravato molto et travagliato da tre non men pericolose che moleste indispositionij. L’una è di catarro, che discendendo continovamente dalla testa alle spalle, al petto, alla schena, oltra ai dolori crudelissimi che li genera in tutte quelle parti, gli ha causato due aposteme, l’una nella gola già tre mesi aperta et l’altra già fatta grossa, ma non bene anchora matura. La seconda indispositione, et di non menore importantia che la prima, è una continova ventosità grossa che si genera da debolezza del ventriculo, che massimamente quando l’aria si altera gli dà molestia grandissima et pericolosa in tutte le interiori. La terza è un continovo prurito nelle parti da basso, et converso in una erescipilla, la quale per ogni picciol moto del corpo s’infiamma et augumenta il prurito con rottura pericolosa, quando non sia ben curata, da convertirsi o in fistola o in cancrena, per le quali indispositioni se con l’aiuto de i remedij già consultati et in Padova et in Venetia dell’acqua de i bagni et di quella del legno, con una assidua et longa guarda del vivere, et sopra tutto col beneficio d’un’aria appropriata, quale è quella di Venetia et di Padova, esso non è aguitato, è cosa chiara che l’è per vivere vita dubbiosa o almanco incurabile et tanto più se’l si mettesse ad andare di presente con queste indispositioni a Roma.

Io Vettor Trinchavello medico, essendomi ritrovato a molti consulti circa il caso di monsignor vescovo di Bergomo et ancho havendo tratto qui in Venecia tal caso, affermo col mio giuramento quanto è soprascritto et in fede di questo mi ho sottoscritto di mia man propria sotto il dì 12 di settembre 1557

Et io Girolamo Riccio, essendo stato su li consulti et ritrovatomi qui in Venetia a la visita di sua signoria reverendissima et purgatola, affermo con il giuramento esser vero quanto di sopra si contiene, et in fede di questo mi son sottoscritto di mia man propria sotto li 12 settembre 1557.

Io Girolamo Lancio chirurgo, ritrovandomi alla cura di continuo di monsignor reverendissimo sopranominato, affermo con mio giuramento esser vero quanto di sopra si contiene et in fede della verità mi son sottoscritto di mia mano alli 12 settembre 1557.

[1]

Amico e discepolo di Pietro Bembo, il Soranzo  (Venezia, 26 luglio 1500 – Venezia, 15 maggio 1558) fu al servizio di papa Clemente VII come cameriere segreto. Nel 1539 era a Roma, al seguito  del Bembo, appena creato cardinale da Paolo III, e di lì passò a Napoli, dove frequentò il circolo di Juan de Valdés. Sin dal 1541 fece parte del circolo viterbese del Cardinale Reginald Pole. Nel gennaio 1547 Soranzo è nominato vescovo di Bergamo. La sua attività pastorale lo fece cadere in sospetto di eresia: si oppose infatti al culto dei santi e delle reliquie, tentò di moralizzare il comportamento dei preti, dediti al vino, al gioco, alla violenza e alla promiscuità sessuale, non imponendo il celibato ma favorendone di fatto il matrimonio (segreto), sciolse voti di castità, favorì la lettura di libri eterodossi, tra i quali il Beneficio di Cristo, e della Bibbia in volgare anche presso i ceti popolari. Nelle sue stanze teneva in bella vista libri di Lutero, Melantone, Butzer, Brenz, dei due fratelli Valdés, di Bernardino Ochino, di Giulio da Milano, di Pier Paolo Vergerio. Subì due processi inquisitoriali. Nel marzo 1551 fu convocato a Roma e arrestato. Sottoposto a processo, riconobbe i suoi errori ed abiurò nel luglio 1551. Nel 1554 Soranzo poté ritornare al governo della sua diocesi. Con l'elezione di papa Paolo IV fu chiamato nuovamente a processo. Le autorità veneziane non concessero tuttavia l'estradizione, proteggendo Soranzo in quanto patrizio. Questi, ormai gravemente ammalato, morì in patria, il 14 maggio 1558. Il secondo processo inquisitoriale, stavolta in contumacia, si concluse con una dura condanna poco prima della sua morte.

Bibliografia: Massimo Firpo, Vittore Soranzo, vescovo ed eretico. Riforma della Chiesa e Inquisizione nell'Italia del Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 2006

 

ID14 Via San Tomaso, 57/a : Federica Mutti / Art House

UN’IDEA VINTAGE

Un’idea di vintage è altalenante,
anche più rara è un’idea vintage.
Si trovano dovunque tanti modi d’invecchiare.
Che piaccia o meno, tocca sceglierne uno, o subirne tanti.
Restare come nuovi è cosa auspicabile,
risulta tuttavia poco credibile il nuovo per sempre.
Si rifugge il peso d’apparire attempati, col terrore di poter finire dismessi.
Non dispiace l’idea d’essere un giorno antichi, magari pregiati.
Pezzi unici d’antiquariato, col rischio pure d’apparire antiquati.
Si pensa alle glorie della stagionatura,
d’un invecchiamento proficuo, che è benefico se custode di un tempo.
Si teme però l’esser stantii, magari raffermi, coi segni dei giorni faticosi.
Si esaltano i vantaggi dell’avere esperienza, il bello d’essere navigati.
La paura è di risultare triti, dati ormai per scontati.
Si spera - per istinto al consueto - di poter dire ad un tratto d’essere radicati,
senza cadere mai nell’obsolescenza.
Tra i mille pericoli del non esser più nuovi,
si è presa così l’ambizione al vintage.
Parola benevola, non già più nuova,
che coglie gli effetti di un tempo trascorso per bene.
Sa ancora di vendemmia, di raccolto buono, di vino d’annata, di eleganza francese.
E si incontra in vetrina chi ce l’ha fatta,
ad impreziosirsi con gli anni,
a giocare col tempo da gran vincitore.
È tutta qui, un’idea di vintage.
Che collezioni valore con l’andare del tempo, è questo il più grande augurio:
che sia un giorno un’idea vintage.

Federica Mutti

 

ID15 Largo San Michele : Simone Facchinetti / San Michele al Pozzo Bianco

La chiesa di San Michele al Pozzo Bianco è una miniera di storie. C'è quella sul soldato francese a tal punto innamorato di un paesaggio dipinto da Lorenzo Lotto da fargli commettere un gesto violento e straordinario insieme. Violento perchè con una lama appuntita aveva deciso di tagliare un pezzo di tela dipinta. Straordinario perchè con quel gesto aveva dichiarato l'esistenza del paesaggio moderno. Il quadro è ora all'Accademia Carrara, noto come Pala Bonghi, per via del nome del committente. La pala era servita a saldare un vecchio conto in sospeso tra Lotto, che abitava qui vicino, e il padrone di casa, che reclamava il pagamento dell'affitto. La decorazione cinquecentesca della chiesa può essere letta come un sincero omaggio al magistero di Lotto. Tutti i pittori che sono arrivati in questo luogo dopo di lui (Innocenzo da Imola, Giovan Battista Guarinoni d'Averara, Giovan Paolo Lolmo) si sono sentiti in dovere di inchinarsi e di togliersi il cappello.

Simone Facchinetti

 

 

 

IDSound Vicolo San Tomaso, 56 : Adelio Leoni & Roger Rota / San Tomaso suite

ID16 Piazza della Fara : Alberto Castoldi / Chiesa e convento Sant Agostino

Il complesso di S. Agostino è una sorta di palinsesto culturale, avendo ospitato via via insigni studiosi fra i padri Agostiniani, l’Accademia degli Eccitati  e importanti scuole di teologia e filosofia. Nel corso del Novecento è risultato sempre problematico dargli una funzione precisa, ed è stata adibito ad usi contingenti, quali mostre e convegni. Il progetto più ambizioso era stato in tempi a noi vicini quello di farne la sede di un museo della città, ma senza un esito concreto. Solo alcuni anni fa, venendo incontro alle necessità dell’Università che si andava accrescendo, il Comune decise di destinarlo ad uso universitario. E’ stato un percorso lungo e tormentato, dato che la società bergamasca non si è mai veramente identificata con la sua Università, se non forse negli ultimissimi tempi, ma anche un percorso ineludibile proprio perché gli studi universitari, ed in particolare quelli umanistici collocati in questa sede, si pongono come il naturale prosieguo della sua storia. Al di là della destinazione specifica, che consentiva uno stretto dialogo fra aree disciplinari contigue, generando una felice interazione fra saperi diversi, la sede, con i suoi chiostri, l’ampio cortile, la suggestiva biblioteca, la vista incantevole sulla città bassa e la città alta, proponeva agli studenti un luogo di studio e d’incontri particolarmente stimolante, come di fatto è poi avvenuto. La contiguità con l’edificio Baroni, sede in via di completamento, ha poi creato un vero e proprio polo di area umanistica, che ha consentito di delineare quel singolare percorso culturale che, nella mia intenzione, doveva attraversare la città, caratterizzandola come città universitaria, vale a dire connettere idealmente la sede di via Salvecchio (che ospita anche il Rettorato), e che è vicina a Piazza Vecchia (dove l’Università è sorta), con S. Agostino e scendendo per via S. Tomaso, collegarsi con l’Accademia Carrara per giungere poi alla sede di via dei Caniana, che accoglie i Dipartimenti di Economia e Giurisprudenza. Mi sembra che, quello che è forse stato il progetto urbanistico più ambizioso e significativo per la città negli ultimi vent’anni, si sia finalmente realizzato.

Alberto Castoldi

ID17 Piazza Giacomo Carrara, 82 : Cristina Rodeschini / Accademia Carrara

 

Omnes in unumTutti uniti in un’unica impresa.

Piazza Carrara è proprio uno scrigno. Su di un fazzoletto di verde, abitato in tutte le ore del giorno e della notte, affacciano l’Accademia Carrara, l’Accademia di Belle Arti e la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea. Sono molto forti le relazioni tra queste tre realtà, che esprimono un potenziale straordinariamente vitale. L’Accademia Carrara e la scuola volute da Giacomo Carrara - uomo colto, appassionato d’arte, collezionista - hanno protratto il loro cammino sino ad oggi. Il museo è il simbolo del collezionismo che ha coinvolto Bergamo donando centinaia di magnifici dipinti raccolti con competenza e passione da grandi figure della cultura italiana: dal fondatore, Giacomo Carrara, a Guglielmo Lochis, a Giovanni Morelli, a Federico Zeri. Oltre a loro più di duecento persone hanno coltivato il sogno di arricchire il museo della città nel corso di più di due secoli. Tra i tesori donati spiccano gemme dell’età rinascimentale di Pisanello, Foppa, Mantegna, Bellini, Raffaello per proseguire con i maestri che rendono luminosa la storia della pittura a Bergamo: da Lotto, a Moroni, a Baschenis, a Fra’ Galgario, a Piccio. Si tratta di un percorso eccezionale che attraversa il tempo, dal ‘500 all’800, specchio fedele della città con la sua salda fede religiosa, i suoi protagonisti, la sua vita. Sì perché una volta visitato il museo ci si potrà perdere nelle vie dove questi artisti sono vissuti, dove si trovano le abitazioni degli uomini, delle donne, dei bambini ritratti, dove queste persone hanno pregato, fatto musica, condiviso i giorni. La pinacoteca riapre e si presenta completamente rinnovata sia nella sua sede storica – costruita nel 1810 - sia nel nuovo ordine dato alle proprie raccolte d’arte.

L’Accademia di Belle Arti è oggi un centro moderno di formazione artistica, frequentato da più di 100 allievi che, invitati a frequentare grandi esempi d’arte del passato, intraprendono il loro cammino probabilmente con  maggiore consapevolezza. Si possono aggiornare facilmente gli allievi dell’Accademia alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea – per tutti GAMeC – che  si avvantaggia di altri straordinari doni da parte degli artisti  e dei collezionisti, nella tradizione di mecenatismo della città. Opere di Kandinskij, Fautrier,  Boccioni, Balla, Sironi, Campigli, Morandi, Casorati e per la scultura di Manzù, dicono di un passato recente di alto profilo. La proposta culturale della GAMeC ha scelto di presentare i protagonisti dell’arte contemporanea, perché capire come siamo oggi è essenziale, oltre ad aiutarci a vedere con altri occhi anche il passato.

M. Cristina Rodeschini

ID18 Piazzetta del Delfino : Paolo Plebani / Fontana del Delfino

Fontana del Delfino  

Al centro della piccola piazza formata dall’incrocio tra via Pelabrocco, la strada con la quale anticamente si saliva in Città alta, e via Pignolo, è collocata la fontana del Delfino. Questa elegante costruzione, realizzata in marmo bianco di Zandobbio, raffigura un Tritone che cavalca un bizzoso delfino, stringendolo con le sue possenti braccia. Il gruppo scultoreo è sistemato su una base di forma rettangolare che presenta sui lati corti due mascheroni dai quali fuoriesce l’acqua, mentre sul lato lungo vi è una pigna, simbolo del Borgo Pignolo. Non abbiamo molte notizie intorno a questa fontana così caratteristica, che sembra quasi la prua del gruppo di case formato dalle due vie. Vi accenna di sfuggita nel 1596 Giovanni da Lezze, Capitano della città di Bergamo, nella Descrizione di Bergamo e del suo territorio inviata a Venezia: «una fontana nella piazzetta detta il Pignol». Più di mezzo secolo dopo vi fa riferimento anche l’agostiniano Donato Calvi nelle sue Effemeridi, quando scrive che il 9 agosto 1572 si era trovata «nella fabrica della fortezza, appresso il baloardo de’ Zanchi, una bell’acqua riputata sanissima» e che si era deciso «di condurla nella piazza di Pignolo, e ivi fabricar un fonte per pubblico beneficio». Miniera inesauribile d’informazioni e di curiosità, padre Calvi non è tuttavia una fonte sempre attendibile e a guardarla con un po’ di attenzione la fontana del Delfino sembra di qualche decennio più antica. Del resto non è forse nemmeno così importante sapere quando e chi ha costruito la fontana, ma il Tritone un poco consunto dal tempo e dallo smog che si erge come un baluardo sopra la grande vasca rotonda ci ricorda quanto abbia contato e quanto conti l’acqua e il suo governo nella vita della nostra città.

Paolo Plebani

ID19 Piazzetta del Delfino : Lucina Spirito / Le quattro piazze

Le quattro piazze, Lucina Spirito

PIAZZETTA DEL DELFINO

La Piazzetta del Delfino è una mano che si tende e che si offre.

Con il suo pollice (via Pelabrocco), indice (via Masone), medio (via Pignolo che sale), anulare (via San Tomaso) e mignolo (via Pignolo che scende).

E in mezzo al palmo una piccola perla di acqua dolce: la fontana del Delfino.

Un po’ sogno e un po’ incubo di un mare, un po’ desiderato e un po’ temuto, da quel terrigno suddito che era il bergamasco del cinquecento della Repubblica Marinara di Venezia.

 

PIAZZETTA SANTO SPIRITO

La casa del mio ben l’è tuta sassi,

ma mi che devo andar me par palassi.

Non posso che ricordare questa canzone ogni volta che guardo la facciata della chiesa di Santo Spirito.

Orgogliosamente nuda a mostrare le rughe e le cicatrici, solo un po’ vergognosa dell’idea giovanile di vestirsi alla cinquecentesca, subito scartata.

E dal rosone cieco fuoriesce una escrescenza bronzea, una scultura di Antonio Somaini degli anni sessanta, concettualmente coerente a liberare lo spirito dalla materia e in rapporto dialettico con i materiali.

Passata questa cortina rocciosa, l’interno si scopre come una luminosa chiesa neoclassica con una buona manciata di capolavori della pittura del cinquecento.

 

PIAZZA CARRARA

Piazza Carrara non è una piazza.

È un cuneo sbilenco di ombra e verde tra i sassi.

Noi ti difendiamo così come sei.

Ringhiosa con le macchine e le stupidità commemorative.

 

PIAZZA DELLA FARA

T’avesse vista De Chirico saresti un quadro, con quel campo di calcio messo di sbieco tra quinte di un teatro cinquecentesco e, di fronte, la facciata di una chiesa tardo gotica.

Forse t’ha vista Quasimodo, ma non t’ha degnata di una strofa.

Te la dedico io, allora, una poesia, non mia, è di Umberto Fiori. Non è tutta, ma quasi, perché sia più tua:

 

Bella vista, chi

può negarti?

Chi può credere in te?

 

Tu vieni senza prove,

senza argomenti,

col tuo trionfo.

Sei tutta presenza.

 

Dovrei forse io, qui,

sostenerti, spiegare,

prendere le tue parti?

 

….

 

Non hai valore tu,

gloria del mondo.

non hai meriti. Sei

l’offerta che si può

solo accettare.

 

Tu sei la porta aperta

Che ogni giorno,

insieme a tutti, io sfondo.

 

 Umberto Fiori, La bella vista, Marcos y Marcos, 2002

ID20 Via Pignolo, 80 : Jovica Momcilovic / Torquato Tasso

 

 

TASSINO   

 

Sono Jovica

Qui a Bergamo mi identificano come extracomunitario.

A me va bene

… essere extra, non è male per niente.

Mi fa un grande onore il fatto che abbiano chiesto

… a me

… che io

… che sono poco

scriva e parli di un bergamasco

… uno del’500.

Uno che non è poco per niente.

Da quello che ho letto di lui

… se non è il più grande bergamasco di tutti i tempi per i bergamaschi

… per me lo è.

Si, è vero quello che ho letto

… ma chi ha scritto il testo

o è una persona noiosa

o scrive in modo noioso.

Io cercherò di essere più succoso.

Spero che il povero Tassino per quello,

non si giri nella tomba.

Io e la mia esistenza dipendevamo tanto da Casa della Renna, negozio, che si trova in via Tasso.

Tasso pensavo fosse il nome di un animale

… come la vicina via Pignolo è delle pigne.

Per me andava bene così… flora e fauna.

Un giorno in via Pignolo scopro una lapide

E scopro che Tasso ha un nome

Torquato, figlio di Bernardo

… e anche il suo antico palazzo

… allora è una persona

… e non di poco, scopro dopo.

Famiglia nobile bergamasca da Cornello dei Tasso.

Loro

… inventori del sistema postale mondiale

e non è l’unica cosa che erano

e non solo a Bergamo e in Italia.

Torquato detto Tassino era un famoso scrittore e poeta nel ‘500

… quando nessuno o pochi sapevano scrivere e leggere.

Della sua vita, cosa dire

… era dappertutto.

È più semplice dire dove non era.

Sempre accanto a importanti , nobili, principi

e lui famoso, ambizioso e entusiasta.

Ma torniamo a noi due

Tassino ha passato la sua vita nel viaggio.

Viaggio serve per viaggiare.

Viaggiare serve per incontrare.

Incontrare serve per vivere.

Vivere serve per essere.

Cosi ci siamo incontrati noi due

… a distanza di 500 anni.

Scriveva lui…

Adesso io scrivo di lui.

Ma prima noi due abbiamo un piccolo conticino da sistemare.

La sua famosa opera: “Gerusalemme liberata” dove scrive della prima crociata e battaglia contro i musulmani,

… per liberarla.

Allora, per liberare la Terra Santa per lui, di Gerusalemme

… ha dimenticato di scrivere almeno due righe.

Lo farò io come Serbo.

Terra Santa per me di Belgrado

… i crociati trovandola sulla strada per Gerusalemme

la bruciarono

anche se non era musulmana

… con i quali ce l’avevano.

Distrussero Belgrado forse per allenarsi.

L’hanno fatto durante la prima crociata

Poi in tutte le altre.

Dopo le crociate, anche senza il segno della croce, contro Belgrado l’hanno fatto in tanti, fino ai giorni nostri.

Forse deve essere così.

Noi abbiamo perdonato

… ma non dimenticato.

Ma almeno, scriverle due righe...

Adesso Tassino ed Io siamo apposto

… vediamo dove siamo simili.

Il tasso è un personaggio di svolta nel mio romanzo “La Creatura” che parla degli italiani.

Tassino è un personaggio di svolta nella storia scritta Italiana.

Per “Gerusalemme” dall’inquisizione guadagna il carcere

… da dove scappa.

Ho avuto anch’io la mia

… poi sono scappato.

Lui sempre accanto a nobili, duchi, principi, la corte.

Io nelle mie terre conosco simili, ma meglio non dire i nomi a voi inquisitori

… sennò chiudete anche me,

dopo qui in Italia continua,

nobili importanti li incontro anche qui

… forse meglio che non dica neanche i loro nomi… non si sa mai.

Per le donne

… un particolare affetto ci lega tutti e due.

Io mi considero considerevole con le donne, alle loro grazie e piaceri

… ma da loro qualcosina mi è toccato anche di diverso.

Ma lui… Tassino

… non per fare male

… ma per fare piacere e soddisfarle

becca sette anni di carcere.

È il mio idolo.

Alle donne lui, cosa faceva… Dio lo sa.

Come ho visto io la sua storia, sembra:

Finche calpestava le altre, andava bene.

Ma quando ha calpestato un certo Duca

calpestando sua moglie

… non era da perdonare.

Sette anni di carcere per Amore.

È un grande.

Il suo primo Amore, Lucrezia

si sposa con il suo migliore amico.

Uguale com’è andata a me.

Abbiamo perdonato ma non dimenticato.

Delle nostre Donne…

… non entriamo in altri particolari

… sono cavoli miei e di Tassino.

Lavorando per i nobili lavorava spesso pagato con un misero stipendio da minimo sindacale.

Va bè, si sa che loro sono tirchi.

Più o meno anche a me pagano così.

Sua madre, Ponzia, a Napoli

… fratelli di lei per interesse l’ammazzano con il veleno

… per i suoi beni.

Mia madre, Mira

… fratelli di lei, i suoi vicini a Sarajevo

… L’annullano avvelenandola con il Loro veleno di nome Odio.

Beni non ne aveva

… ma lo fanno solo per il suo nome e lo spazio che occupava tra di loro.

Bastava quello per farlo.

Tassino dopo il carcere, provato, distrutto, deluso, stanco, malato in età ancora giovane torna a Bergamo

… per consolare la sua anima e riprendere la salute.

Fatto che è nato, non a Napoli, ma ancora più giù, a Salerno

… non so se i bergamaschi lo indichino come Terrone

… a me si, mi considerano… anche peggio.

Anch’io dopo i colpi torno a Bergamo dal lago di Como

per riprendere la stima e ricostruire il tessuto

… per poter Vivere.

Tassino e la sua ripresa

… non so come andava

ma so che è andato lui,

andato via

… a Roma.

Andato per morire

… la.

Forse Bergamo era troppo piccola

per la sua grande morte.

O voleva

… che la morte Sua

rimanesse eterna

…come la città di Roma.

È successo l’undicesima ora del 25 Aprile del 1595

… morto ai suoi 51 anni.

Io ho 54 anni.

Il 25 Aprile, all’undicesima ora

presenterò due libri…

“La polenta”

… per i bergamaschi 

“Amore”

… per lui, Torquato Tasso.

 

La mia ripresa come va

… non lo so.

Dove morirò Io

… so ancora di meno.

Bergamo

… forse va anche bene

per Me.

                                                                                                    Extra

IDYouTube Piazza Giacomo Carrara : Cinzia Benigni / Conte Giacomo Carrara

 

Il risveglio del Conte, di Cinzia Benigni

 https://www.youtube.com/watch?v=qdfhlsZH9J8

 

ID21 Via San Tomaso, 1 : Daniele Rossi / Penny Lane

C'era una volta Penny Lane

Let me be your slave Penny!!!

"La ragazza perduta"(La mia vicina di casa)

 

 

 

 

IDYouTube Via Pignolo, 98 : Angelo Signorelli / Utopia ?

ID22 Via Pignolo, 7 : Luca Santiago Mora / San Lupo

 

Lì iniziava il mistero.

Da quell’orecchio, che si voleva condotto a imbuto, penetrante a serpe, fra le maglie della terra.

Lì , stava un po’ meno inimmaginabile il Purgatorio, fermata prima dell’Inferno.

In caduta libera, ovvio. Dante, non si era mai sentito.

Il gioco era lasciare cadere la latta delle cinquelire  con la testa già nella conchiglia a forzare l’orecchio sul buco, per prolungarne un ritorno.

Cartilagine auricolare avvolta in un radar di marmo. Nero.

Il mondo del sottile.

I dubbiosi erano invitati a porgere il naso anziché l’orecchio. Il salto di temperatura e il sentore erano incontrovertibili.

Anche i migliori però, fermi sul ciglio del baratro: a che poteva servire in Purgatorio una monetina?

lsm

04/015

ID23 Via Pignolo, 80 : Simone Facchinetti / Gianandrea Gavazzeni

octobre ‘65

La pagina sui cessi, latrine, latrinini di Borgo Pignolo: elaborati mentalmente per anni senza trovare la forma compiuta, e nemmeno una lena d’avvio.

   Pignolo, la sutura più misteriosamente radicata, tra la Città Alta e i Borghi. Una strada che ha colpito scrittori. Senza che nessuno intuisse, o avesse incontri, con il sottofondo autentico e vetusto: le latrine e i loro odori, gli aromi diffusi, come un pedale legato alle origini, alle matrici bergamasche. Le latrine come il regno delle Madri, per Pignolo; sedimentazione, cristalli di merde antichissime, le merde dei secoli che hanno formato il limo, la stratificazione della contrada, e con la mischianza aromatica diedero il tono all’ambiente casalingo, la patina muschiosa alle architetture, e forse qualcosa ai modi di vivere. Forse viene di lì certa inane melanconia e pigrizia che gli autentici abitanti di Pignolo conobbero in passato. Come un’accidia liricamente fermentante nelle infinite merde, in quelle reti di sotterranei, di passaggi segreti, nella romitezza patetica di cessi e latrine quietissime. Cessi e latrine come rifugi, difese; come antri meditativi, chiusi ai rumori del mondo, alle moderne dissipazioni.

   Dall’infanzia imparai a conoscere le topografie rugose di certi sotterranei – domestiche catacombe – raccordate da passaggi e cancelletti lignei, e improvvise sortite su tristissimi orti e chiusi giardini di poca luce e di stento colore. E la disseminazione di cessi e latrinette che raccoglievano con espressiva intensità domestica i segni tutelari della casa.

   L’aulica dei palazzi, attraverso le vicende stilistiche, affondava in queste radici come in una palude che l’arcanità delle merde alimentasse alacremente. Così, dai cessi vetustissimi, ancora sino a qualche decennio addietro inattingibili al progresso idraulico e ai rinnovamenti materici; da quelle vene profondamente viscerali è salito, nei secoli, l’odore di Pignolo: acidulo, tra di cavoli marcescenti e acetilene, tra di tabacco appassito e “taleggi” elaborati e sublimati dai vermicoli.

   Ogni volta, anche oggi alle scarse occasioni, quando l’odore di Pignolo riemerge dai tombini, dai cessi superstiti – gli ultimi, i postremi –, dalle cantine, dai pozzi o cisterne; l’impasto, l’infusione delle merde secolari, ti ghermiscono con un tuffo al cuore: un richiamo originario, legato alle proprie storie più vere.

 

Gianandrea Gavazzeni, Non eseguire Beethoven e altri scritti, Milano 1974, pag. 322-323

Gianandrea Gavazzeni, Paolo Facchinetti, 1998

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